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Buona parte della giornata del contadino si svolgeva nei campi,ma il focolare domestico rappresentava il luogo di riferimento, il punto di ritrovo dell’intera famiglia che dopo una dura giornata di lavoro finalmente si riunisce. Nell’architettura delle abitazioni popolari i valori fondamentali venivano messi a nudo dalla povertà dei mezzi e dalle condizioni di vita; la tipica casa bisacquinese era costruita interamente in pietra, poteva essere più o meno bella a seconda dalle possibilità economiche anche se l’aspetto che primo fra tutti veniva preso in considerazione era quello funzionale. L’accesso alla casa avveniva tramite una porta in legno rudimentale che solitamente comprendeva nella parte superiore “ u purteddu”, dietro la porta venivano appesi oggetti rituali:l’immancabile ferreo di cavallo e la “Santa figliolanza , l’immagine votiva alla quale la credenza popolare attribuiva il potere di allontanare le intemperie e le sventure in genere. Gli interni delle abitazioni, specie  per i meno ambienti erano molto umili e modesti, spesso composti da un'unica stanza con il focolare in un angolo e l’alcova nel lato opposto. L’alcova è una reminiscenza della dominazione araba, le pareti che la costituiscono lasciano lo spazio per ospitare il letto che per antico costume era straordinariamente alto in quanto veniva sostenuto da quattro cavalletti di ferro battuto  (“trispa “), sopra cui venivano adagiate le tavole di legno che tenevano il materasso. L’alcova era destinata esclusivamente ai genitori, se in famiglia vi era un neonato e non si aveva la possibilità economica di possedere una culla, la madre preparava un’amaca legandola da una parete dell’alcova all’altra. I figli più grandi dormivano nel camerino ricavato dalle pareti esterne dell’alcova,avendo sempre l’accortezza di separare le figlie femmine dai maschi. Dall’alcova pendeva  ripiegata e appuntata nei due lati una tendina di mussola a fiori o di tela turchina. Sotto il letto veniva posizionata la tradizionale cassa di noce “a carriola “ così chiamata perché ai piedi poteva essere completata con delle ruote in modo da facilitare gli spostamenti.

La “carriola” nella maggior parte dei casi rappresentava il mobile più prezioso di tutta la casa in quanto era destinato a contenere principalmente il corredo che la donna aveva pazientemente preparato nell’arco della sua vita; oltre al corredo veniva conservato l’abito da sposa, qualche gioiello oppure il grano. Nella parte superiore del letto veniva inchiodato “u capezzali” raffigurante la Madonna col Bambino, la palma benedetta che veniva sostituita ogni anno (dopo la benedizione della nuova che avveniva in occasione della domenica delle palme),e l’acquasantiera lungo le pareti dell’alcova venivano sistemate una miriade di stampe Sacre di Santi di ogni forma e dimensioni, sovente senza cornici,ornate di nastri e cartuzze dorate, immagini che la donna aveva collezionato durante tutte le feste religiose (3 Maggio, Novene, Quindicine, e altre ricorrenze varie ).

La sera quando le temperature erano particolarmente rigide, un po’ prima di andare a dormire si preparava il letto sistemando sotto le coperte “u monacu”, un trailo di legno un trabiccolo di legno sulla cui base veniva adagiato un  braciere con del carbone ardente; esso espletava la funzione di riscaldare il letto. Altri accessori che venivano riposti nell’alcova erano:il cantaro “cantare “ che veniva utilizzato per i bisogni corporali, chi aveva la possibilità di possederne più di uno veniva considerato benestante; la sera si andava svuotare nei luoghi poco  frequentati e si sciacquava con dell’acqua che veniva trasportata dentro una  “quartana “; il vaso da notte che aveva la stessa funzione del cantaro anche se variava nella forma,decisamente più panciuto veniva conservato nel comodino. Il comodino serviva come base di appoggio per il porta candele e per la sputacchiera.

Senza dubbio il punto della casa maggiormente abitato e frequentato dall’intera   famiglia era quello della cucina. L’aspetto esteriore che caratterizzava questo ambiente era il soffitto realizzato in canne, sostenuto da grosse travi di legno. Possiamo immaginare la vita che si svolgeva dando un’occhiata agli arredi, agli attrezzi e agli utensili di uso quotidiano che ci portano indietro nel tempo a partire dal focolare (“cufilaru”) realizzato in muratura, che per secoli è stato il vero punto di riferimento dell’intera famiglia, alimentato dal legname che ardendo sprigionava nell’intera casa oltre ai profumi culinari una sensazione di calore.

 

Il vero mobile della casa era il cantarano (“cantanaru”)  sopra cui venivano riposti gli oggetti più pregiati:tazzine, bottiglie, boccali, brocche, miniature sotto vetro. Quella di creare composizioni protette da campane di vetro può essere definita una delle caratteristiche forma di decorazione dell’Italia ottocentesca,di cui oggi rimangono pochi esemplari . le statuine Sacre in cera che riproducono Bambinelli sono tra i soggetti più ricercati ed apprezzati; vetro che li ricopre,rigorosamente artigianale si può riconoscere a colpo d’occhio perché è di colore verdastro e presenta bollicine ed imperfezioni assenti dalla produzione moderna; di fronte al canterano vi era quasi sempre un  tavolo da mensa con un largo cassetto utilizzato per conservare le posate in rame che quotidianamente andavano pulite con un procedimento particolare, infatti per evitare che si annerissero,venivano strofinate con il limone e terra rossa.

Alla parete veniva incassato un armadio in muratura con gli sportelli in legno e diverse mensoline dove venivano  riposte il resto delle stoviglie; pentole, padelle, e recipienti in terra cotta, scola pasta

oliera a forma di ampolla  (“ agghialoru “), anfora di terracotta,  (“baccareddi”)e piatti decorati.

L’allegria che trasmettono i piatti decorati a vivaci colori e con ingenui soggetti,diffusi largamente durante l’ottocento e all’inizio del nostro secolo, hanno reso oggi questi oggetti ricercati, nati per i poveri e destinati esclusivamente alle classi meno abbienti. I soggetti maggiormente riprodotti erano i fiori, ad acquistarli erano solo i contadini e le famiglie più povere che ne facevano uso quotidiano.

La presenza di screpolature superficiali, l’irregolarità della superficie e la mancanza della vetrina sul rilievo d’appoggio del fondo dovuto all’usura, sono aspetti che caratterizzano i piatti di quel periodo. Di particolare interesse antropologico era un arbusto selvatico comunissimo nel territorio bisacquinese chiamato volgarmente “arrifriscacori “o “giucco pì muschi “ che veniva appeso al soffitto della cucina ed attirava le mosche che numerose si “appollaiavano “sui rametti. Al fine di sterminarle, si buttava sotto la pianta un pò di zolfo, istantaneamente accendendo un fiammifero, si creava una fiamma che ardendo uccideva le mosche. In cucina veniva tenuto “ u circu”, un trabiccolo composto da legni curvati, utilizzato per asciugare i panni ed allo stesso tempo a riscaldare l’ambiente,infatti nella parte sottostante veniva messo il braciere; ed “u cufinu” un cesto di canne e vimini con il coperchio per conservare pane e biscotti preparati in grande quantità.

Il ferro da stiro,di cui i primi esemplari prodotti erano ricavati da un unico blocco di metallo che veniva assottigliato ed incurvato ad una delle estremità per creare l’impugnatura coperta da un panno o un pezzo di cuoio ( per evitare di bruciarsi le mani), in questo caso il ferro veniva scaldato direttamente sul fuoco ed al momento dell’uso bisognava ripulire la base. Un primo passo avanti nell’evoluzione del ferro da stiro si ebbe con la introduzione di modelli forati da un grosso contenitore di metallo a forma di nave, riempito di brace. In questo modo il ferro si raffredda lentamente e non c’era più bisogno di pulirlo, ma non mancarono altri inconvenienti:il fumo prodotto dalla combustione era più tosto fastidioso,e c’ era sempre il rischio che qualche pezzo di brace rovente schizzasse dai fori per l’a reazione e bruciassero il tessuto.

Anche se a noi apparteniamo ad un contesto sociale totalmente diverso rispetto a quello di allora può risultare alquanto insolito,va ricordato che in cucina venivano anche compiuti buona parte dei bisogni relative alla cura della persona, in un angolo veniva tenuta la bacinella sostenuta da un apposito supporto per lavarsi, la caraffa, per tenere l’acqua da versare nella bacinella, lo specchio gli arriccia capelli realizzate con le asticine di ferro che andavano messe direttamente sul fuoco e vi si attorcigliavano i capelli in modo di formare dei riccioli, fermagli, pettini e porta pettine; si trattava di contenitori in cui usavano deporre non solo pettine e fermagli,ma anche gli oggetti contenuti nelle tasche o nelle borsette. Con appositi gancetti venivano appesi nell’angolino dedicato alla toelette, pur trattandosi di oggetti essenzialmente pratici spesso erano sofisticati e richiedevano molta cura nell’esecuzione;Santini e ricami ch producevano motivi geometrici o floreali.

La cultura alimentare può essere considerata come il tratto più resistente dell’identità di un popolo,infatti la diversità riscontrate  fra la Sicilia attuale e quella del passato sotto determinati aspetti sono poco rilevanti. La tendenza generale rimane quella della ricerca dell’autentico e genuino,. Quindi di un ritorno alle abitudini ed alimenti del passato.

 

L’arte culinaria bisacquinese era sostanzialmente povera,condivide molti tratti con altre tradizioni del mediterraneo ma in nessun posto potremo trovare una così ricca varietà di pasti: “ l’agghia “ consisteva nella prima colazione che i contadini facevano prima di recarsi nei campi; generalmente si basava di uova crude mangiate a “sucare”.”

-“U mangiari di la matina “; era la seconda colazione che si faceva dopo qualche ora di lavoro; si bevevo il latte oppure si mangiavano patate cucinate con cipolla e pomidoro.

-“ U manciari di mezzuiorno” era il pranzo che consisteva generalmente in un piatto di pasta condito con legumi, lenticchie, fave, e verdure varie.

-“ A merenda”: rappresentava lo spuntino pomeridiano che si faceva con pane, formaggio e olive.

-“A cena “: era l’ultimo pasto della giornata e si faceva quasi sempre con piatti a base di verdure.

I piatti a base di carne, si preparavano saltando la domenica o nei giorni di festa, solo pochi fortunati potevano mangiare carne ( chi possedeva qualche capo di bestiame ).altrimenti l’unico piatto era la gallina che non mancava in nessuna casa.

Gli elementi fondamentali dell’alimentazione erano la pasta ed il pane che si preparava generalmente una volta la settimana con la farina di grano duro.

I contadini non acquistavano nemmeno il caffé in quanto si faceva a  “cafiata , una sorta di surrogato di caffé ottenuto dalla tostatura  (“ caliatura “) di orzo, frumento tardivo  (Tumminia ) e ceci. La polvere ottenuta dalla macinatura di questi ingredienti veniva poi atomizzata con pochissimo caffé e il prodotto bollito si bolliva nell’acqua.

Nella cultura tradizionale bisacquinese anche il consumo di dolci è strettamente concesso ad occasioni particolari e serve proprio a distinguere la festa dalla quotidianità.

 

 

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